Le donne vogliono lavorare senza rischiare la salute. Vogliono che il loro corpo sia finalmente considerato nei dispositivi di protezione individuale, che oggi continuano a essere progettati sul modello maschile. Scarpe troppo larghe, giubbotti inadatti, caschi instabili, mascherine inefficaci: quando gli strumenti per la sicurezza non sono pensati anche per le donne, il lavoro diventa un pericolo.
Monica Spitella, RLS Filcams, lo sa bene. È cresciuta con una madre diventata disabile a causa di una malattia professionale, legata proprio alla mancanza di protezioni adeguate nel suo lavoro. E oggi, come rappresentante delle lavoratrici e dei lavoratori, porta avanti ogni giorno la battaglia per la salute e la sicurezza nei settori più femminilizzati e spesso invisibili: pulizie, commercio, vigilanza, mense, appalti nei cantieri e negli ospedali.
In questi luoghi, le donne affrontano turni massacranti, carichi fisici sottovalutati, ambienti ostili e strumenti non adatti. E troppo spesso, nei cambi appalto, le tutele svaniscono insieme alla continuità del lavoro. La sicurezza sul lavoro non può dipendere dal ribasso dei costi o dai giochi di appalto al massimo ribasso.
Per questo l’8 e 9 giugno le donne voteranno sì al referendum sul lavoro. In particolare al quarto quesito, che vuole ripristinare la responsabilità solidale negli appalti: perché chi lavora in un ospedale, in una mensa o in un centro commerciale merita le stesse tutele di chi è formalmente “datore di lavoro”.
Perché la sicurezza non è un lusso. È un diritto. E le donne, oggi, lo pretendono.